«È finita un’era». Scrive così René Cuignon, imprenditore e musicista aostano, su “Facebook”, nella pagina dedicata al “Cafè du Vélo”, nella serata di mercoledì 20 maggio, annunciando che l’apprezzato locale in corso Lancieri ad Aosta, inaugurato il 24 settembre 2013 insieme a Giovanna La Pegna e ad Andrea Bettega non riaprirà dopo essere stato obbligato alla chiusura dall’emergenza sanitaria.
«Sette anni fa, a settembre, nasceva quello che per noi è un piccolo gioiello: il “Café du Vélo” – scrive Cuignon, postando un video muto di nove secondi in cui la telecamera gira attorno allo staff, intitolato “Il mondo girerà lo stesso” – credo resterà per molti un luogo, una casa e un bordello pieno di ricordi belli. Oggi, le condizioni non ci sono più. Ripartire da capo, con un personale ridotto non ha alcun senso. Non è nello spirito stesso di questo bar. Noi, con voi, siamo stati l’aggregazione. Quindi la scelta è venuta di conseguenza. Se la struttura stessa di questo posto deve essere messa in discussione, allora noi non ci stiamo».
Con l’arrivo dell’emergenza sanitaria, il “Cafè du Vélo” aveva ridotto, all’inizio di marzo, il numero di tavoli per poi chiudere l’11 marzo, a causa delle disposizioni del “lockdown”: «sia chiaro, non è colpa di nessuno – continua il titolare del “Vélo”, che il 26 settembre 2018, era stato anche citato da Linus, cui è nota la passione per il ciclismo, all’interno della trasmissione radiofonica “Deejay chiama Italia” – né del “covid”, né dello Stato, che ci prendeva a scarpate in faccia già da prima, né del Padre Eterno. È una scelta, libera, fatta da persone libere che hanno oggi la possibilità di scegliere. Quindi, grazie a tutti quelli che hanno fatto parte di questa Famiglia, quelli che ci hanno voluto bene, quelli che ci hanno voluto male, quelli che “chi se ne frega” e quelli dei tanti cuoricini. Noi vi ringraziamo tutti, ma proprio tutti. Vi dobbiamo una festa di chiusura».

L’interno del ‘Cafè du Vélo’, ad Aosta
«Abbiamo ricevuto una “valangata” di affetto, incredibile – commenta poi René Cuignon, approfondendo, personalmente, le motivazioni della chiusura definitiva – non puntiamo il dito contro nessuno, è stata una scelta assolutamente consapevole, ricominciare oggi sarebbe smontare completamente quello che era il “Cafè du Vélo” e farlo ripartire come se fosse un progetto nuovo, cosa di cui non abbiamo assolutamente voglia. In quel bar ci stavano sei persone, eravamo una famiglia, e muore così, perché probabilmente non è neanche più il nostro lavoro ripartire da capo, non saremmo più le stesse persone, non sarebbe più lo stesso bar. In questo momento non abbiamo intenzione di fare questo sforzo».
«La caratteristica del “Cafè du Vélo” è sempre stata l’aggregazione – aggiunge – è un bar nato in corso Lancieri che era una zona sconosciuta fino a sette anni fa e comunque poco frequentata. Il nostro orgoglio è stato quello di diventare un punto di riferimento ed aver avuto la capacità di spostare la gente dal centro città verso la periferia, per esempio. Il “Vélo” si caratterizzava per l’aggregazione, lo scambio, la diversità culturale, perché da noi trovavi dall’avvocato, il magistrato, il meccanico sporco di olio, senza che nessuno mai si sentisse fuori luogo: questa era me la cosa più bella in assoluto del “Café du Vélo”, il fatto di unire semplicemente degli esseri umani e basta, al di là dello stato sociale o di quanta “grana” avessero nel portafoglio. Non vogliamo perciò disgregare quello che era il vero fulcro del “Cafè du Vélo”, o si andava avanti così com’era, oppure si sta a casa, fine dei capitoli. La scelta è drastica, ma è una scelta consapevole, fatta con il cuore, soprattutto coerente con quello che siamo noi».
Gli aostani e non mancherà anche lo scoprire come cambiava, con le stagioni e le ricorrenze, il soffitto del locale, una delle caratteristiche uniche del “Vélo”: «il design dei cieli nasce da Giovanna, mia moglie – puntualizza René – l’idea di arredare, di cambiare, poi in realtà è diventato un condividere artistico tra tutti noi che ci lavoravamo, era anche un progettare, bello per noi perché era come lavorare in un posto diverso ad ogni stagione, ti dava comunque un sacco di energia. E’ ovvio però che un bar come l’abbiamo vissuto noi in sette anni, sembrano pochi, ma il fatto di rinnovarsi continuamente, trovare soluzioni nuove è stato per noi come viverne il doppio. Lo sforzo era gigantesco, adesso eravamo anche noi arrivati ad essere un po’ esauriti da questa struttura. Avere un’attività con sei dipendenti in quaranta metri quadrati, in Italia, solo chi ha una Partita Iva può capire le difficoltà che ci possono essere, non è facile, è un lavoro stressante, tutto il contorno della gestione economica di una struttura pesante e grossa come quella pur essendo in un posto piccolo».

L’interno del ‘Cafè du Vélo’, ad Aosta
Resta solo da capire che fine farà la porta del bagno, portata in giro per il mondo dai clienti più affezionati, tanto che ha anche una sua precisa pagina su “Facebook” (qui) ed è sopravvissuta ad un tentativo di furto con scasso nel marzo 2017: «è stata una storia bellissima – sottolinea Cuignon – adesso vedremo, ci piacerebbe tanto fare una raccolta fondi da devolvere, stiamo cercando di capire come fare, è diventata anche un simbolo, molto carina, nata per scherzo dagli amici che hanno cominciato a smontarla e a portarsela in giro. Anche queste sciocchezze dimostrano come la gente si fosse legata a quel posto».
«Il nostro futuro non lo sappiamo ancora – conclude René Cuignon – durante questa quarantena abbiamo avuto, come tanti, modo di pensare, forse anche di vedere che stavamo andando controvento e con fatica su un progetto che, prima o poi, sarebbe dovuto comunque tramontare. Né io né Giovanna, o i ragazzi, forse Max fra tutti è veramente un barista, mentre noi siamo tutti delle persone che ospitavano in casa loro e che accoglievano, questo era lo spirito del “Vélo”. Non era scritto da nessuna parte che, poiché avevamo fatto una cosa bella, che questo sarebbe stato per sempre il nostro lavoro. Già a me questa cosa mette l’ansia. Se la si vuole vedere con un aspetto un po’ tragico, abbiamo 43 anni e siamo alla metà di un percorso medio di vita. Vogliamo fare altre cose, conoscere altre persone, fare esperienze nuove, chi lo sa. Andremo a fare altro, questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma non c’è un colpevole».