Uno studio de “L’Adige” evidenzia che oltre la metà dei casi di “covid-19” in Valle sono conseguenza della gestione turistica di fine febbraio

Scritto da aostapresse

5 Aprile 2020 - 15:00
Il grafico pubblicato su 'L'Adige'

“Quel maledetto weekend” è il titolo di un articolo pubblicato su “L’Adige”, quotidiano del Trentino Alto Adige, sabato 4 aprile, dove Giuseppe Parolari, medico chirurgo, già dirigente dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento e consigliere della Provincia autonoma di Trento e della Regione Trentino-Alto Adige, analizza la portata dell’epidemia da “covid-19” dell’ultimo fine settimana di febbraio, da venerdì 28 a domenica 1° marzo, dopo che il presidente della Regione Renzo Testolin aveva ribadito che la Valle d’Aosta è «assolutamente sicura per venire a trascorrere un soggiorno in montagna», spalleggiato dal dottor Luca Montagnani, attuale coordinatore sanitario dell’emergenza, che aveva aggiunto «se fossi un turista, adesso sceglierei proprio di venire in Valle d’Aosta perché siamo la Regione con il sistema di prevenzione e controllo meglio organizzato».

«Mentre i medici lombardi chiedevano di chiudere tutto e subito, spaventati dai casi di “covid-19” che già affollavano le terapie intensive – scrive il dottor Parolari , nel weekend dell’8 marzo accadevano cose inspiegabili: a Milano aperitivi in piazza e centri commerciali aperti, in Valle d’Aosta biblioteche chiuse ma impianti sciistici aperti, in Trentino una folla di sciatori invitati a venire sulle piste da sci, provenieni da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, le regioni più colpite dal virus. Propio quella sera stessa il presidente del Consiglio approvò d’urgenza il decreto di isolamento di Milano e di 14 province del Nord, seguite poco dopo dall’Italia intera».

«Ci si chiede ora quale ruolo possa aver avuto quel weekend sull’epidemia, qui da noi – prosegue – una risposta la possiamo ottenere dal grafico che riporta l’evoluzione nelle varie regioni e province autonome nel nord da quel momento in poi, utilizzando dati standardizzati, rapportati ai 100mila abitanti, resi confrontabili quindi per tutte le realtà considerate, dalla Valle d’Aosta con i suoi 125mila abitanti fino alla Lombardia che ne ha 10 milioni, passando per il Trentino. Come si può vedere, sia la Lombardia (linea arancio) che l’Emilia-Romagna (linea grigia) avevano già iniziato il loro difficile percorso in salita il 9 marzo, quando in Lombardia c’erano più di cinquemila casi di “coronavirus”, 50 ogni 100mila abitanti; in Emilia 1.400 casi, più di 30 ogni 100mila abitanti; un percorso che poi hanno continuato in modo regolare, staccate dalle altre».

«Diversamente da Lombardia ed Emilia – analizza Giuseppe Parolari – le altre regioni e province autonome del Nord Italia si muovevano compatte con numeri abbastanza contenuti, dai 6 casi ogni 100mila abitanti del Trentino ai 15 del Veneto (che stava risolvendo i suoi problemi a Vo Euganeo). E ciò per tutta la settimana successiva: è da domenica 15 marzo che le curve del Trentino (linea rossa) e della Valle d’Aosta (linea verde) si staccano dalle altre e puntano in alto, fino ad arrivare a superare entrambe l’Emilia-Romagna e un delle due, cioè la Valle d’Aosta, anche la Lombardia. Seguite pochi giorni dopo dall’Alto Adige (linea gialla), con forza però nettamente inferiore. E’ come se il “coronavirus”, portato quel weekend sulle piste da sci, una volta superato il periodo di incubazione avesse cominciato a manifestarsi prepotentemente».

«A farne le spese più di tutti è stata la Valle d’Aosta – evidenzia il medico nell’articolo su “L’Adige” – dove, proprio perché piccola, la presenza di turisti era diffusa su tutto il territorio; lassù, quel weekend, c’era mezza Milano. Il Trentino, stracolmo di turisti, ne ha risentito un po’ meno (non in numeri assoluti, però) per il fatto che le aree sciistiche qui interessano una porzione più limitata di territorio. In quei giorni però sulle nostre piste da sci c’erano anche tanti trentini che la sera sono poi tornati alle loro case. L’Alto Agide è riuscito a mantenersi a livelli più bassi, forse grazie al fatto che la Provincia di Bolzano aveva emanato per quel weekend, norme di contingentamento».

«Giunti ora al 26esimo giorno di “lockdown”, la più colpita in proporzione al numero di abitanti risulta proprio la Valle d’Aosta con 572 casi di “covid-19” ogni 100mila residenti – prosegue Parolari – seguita dalla Lombardia (472 casi) e, in terza posizione, dal Trentino con 390 casi (utilizzando i dati della Protezione civile, non di Apss, per uniformità con le altre Regioni), dopo essere stato molti giorni gomito a gomito con l’Emilia-Romagna (357). L’Alto Adige è quindi (293) e precede la Liguria (256), il Piemonte (250), il Veneto (213) e, fanalino di coda (ma tutti sarebbero contenti di esserlo), il Friuli-Venezia Giulia con 155 casi ogni 100mila abitanti».

«E’ possibile sapere quanto ha pesato in numeri sull’epidemia quel weekend? – si chiede quindi il medico – Ipotizzando che il trend dell’epidemia in Trentino, Valle d’Aosta e Alto Adige fosse rimasto o stesso di quello di Liguria, Piemonte, Veneto e Friuli, come c’era da aspettarsi, e prendendo come termini di paragone la Liguria (linea blu) e il Piemonte (linea nera), quelle messe peggio delle quattro, risulterebbero 700-750 contagi “di troppo” in Trentino (circa un terzo del totale, dati della Protezione civile), 400 in Valle d’Aosta (più della metà del totale) e 200 in Alto-Adige. Se poi il confronto fosse fatto con Veneto e Friuli, avremmo numeri ancora maggiori».

«E’ ben vero che il Trentino ci sono stati molti contagi in aree, come l’Alto Garda e Ledro, dove non ci sono piste da sci ma case di cura e riposo – conclude Giuseppe Parolari – però è altrettanto vero che anche Liguria, Piemonte, Veneto e Friuli hanno le loro “rsa”, che anche lì sono diventate i maggiori centri di contagio. In conclusione quindi, da qualsiasi parte lo si guardi, quello è stato un maledetto weekend».

Fonte: quotidiano “L’Adige” di sabato 3 aprile

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