Una bandiera palestinese che sventola sulla croce del Cervino e, pochi mesi prima, uno striscione “Stop al genocidio” sul Monte Bianco. Due gesti simbolici, due messaggi che arrivano dall’alto e riportano sulle Alpi la discussione pubblica sulla guerra a Gaza.
Hervé Barmasse: «Il tempo è ciò che resta. Se non fermiamo un genocidio, è in pericolo l’umanità»
Nel video postato sui social media lunedì 22 settembre 2025, l’alpinista valdostano Hervé Barmasse accompagna l’immagine della bandiera con un testo lungo e meditato: «Cervino 4478 m. Il tempo non è soltanto ciò che scorre: è, soprattutto, ciò che resta. È la misura invisibile delle nostre azioni, del nostro coraggio e dei nostri silenzi. È lo specchio del nostro carattere, delle nostre omissioni. Crediamo di attraversarlo, ma è lui che attraversa noi e, nel farlo, rivela chi siamo stati, ciò che abbiamo fatto e, soprattutto, ciò che abbiamo scelto di non fare».
L’alpinista lega la responsabilità personale al presente del conflitto: «se non troviamo la forza di fermare un genocidio, oggi riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, è l’intera umanità a essere in pericolo. Perché in un futuro non troppo lontano qualcuno potrebbe ancora decidere, per interesse o follia, chi sacrificare: una minoranza, un popolo, una religione, una cultura. Ma ogni volta che si nega il diritto di esistere a qualcuno, non si colpisce solo lui: si colpisce l’intera umanità, la libertà e la dignità di tutti noi. In quel momento smettiamo davvero di esistere».
Il post si chiude con una citazione di Primo Levi da “I sommersi e i salvati”: «”Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate”».

Roberto Rossi: «Le montagne sono luoghi d’incontro. Fermate la mattanza ora»
Il 29 maggio scorso, la guida valdostana Roberto Rossi aveva portato sul Monte Bianco una bandiera e uno striscione contro la guerra, accompagnando il gesto con un testo che richiama il valore universale delle vette: «le Montagne sono sempre state luoghi di incontri tra persone provenienti da paesi diversi; luoghi in cui solidarietà, amicizia, fraternità hanno avuto e avranno per sempre un ruolo centrale, al di là di orientamento religioso, politico, e di “classe sociale”».
Poi l’appello alla politica europea: «oggi sulla cima del monte Bianco sventolava questo striscione; un grido muto e disperato dal punto più alto delle Alpi rivolto ai politici europei affinché intervengano subito, con ogni mezzo a loro disposizione, per fermare Netanyahu e il governo israeliano che sta perpetrando un massacro senza precedenti ai danni di una popolazione inerme; bambini morti, altri mutilati, persone torturate e affamate. Disperazione e paura ovunque. Mancanza di tutto».
E la richiesta di embargo totale: «che interrompano immediatamente ogni rapporto, affare e collaborazione commerciale con Netanyahu e il governo israeliano, imponendo un embargo totale! Fermate la mattanza ora. E chissenefrega se qualche accordo commerciale andrà a farsi fottere, la vita e la dignità degli individui devono valere più di qualsiasi somma di denaro e di interesse economico».
Simboli in quota, dibattito a valle
Le due iniziative s’iscrivono in settimane di presìdi e appelli per la pace anche in Valle d’Aosta, e riaccendono il confronto sull’uso delle vette alpine come luoghi di testimonianza civile. Per i promotori, la montagna diventa megafono di diritti e umanità; critici e sostenitori si confrontano sull’opportunità, o meno, di mescolare attivismo e alpinismo. Di certo, le immagini dal Cervino e dal Monte Bianco hanno riportato l’urgenza del tema al centro della scena pubblica.